Leggimontagna / Friend d’oro / Amico Alpinista
Per l’ASCA è un’emozione presentare storie, note e meno note, degli amici della montagna che sono stati e sono protagonisti del panorama alpinistico locale, nazionale e internazionale.
Storie diverse perché diversi sono i caratteri delle singole persone e l’interpretazione della vita per ognuno, ma il filo conduttore è unico: la montagna vissuta con profonda passione.
Gli Amici alpinisti di ASCA sono Friend d’oro. Friend in lingua inglese è l’amico, friend nel mondo dell’alpinismo è un prezioso ausilio all’arrampicata che non ferisce la roccia. D’oro indica qualcosa di prezioso, aggettivo ideale sia per l’Amico, sia per il dispositivo di supporto all’arrampicata. Perfetto il doppio senso – che riunisce in sé un valore emotivo e un valore tangibile – per un riconoscimento che è simbolico, ma veramente sentito.
L’ASCA ha attribuito, con immensa gratitudine, un riconoscimento particolare anche a gruppi di operatori in montagna: i Manutentori dei sentieri (2013), il Soccorso in montagna di Austria, Slovenia, Italia (2014), la Struttura di prevenzione rischio valanghe (2016).
Grandi protagonisti della montagna vissuta in prima persona, ospiti d’onore al premio Leggimontagna, sono stati tratteggiati con le parole che seguono.
RICONOSCIMENTO AGLI AMICI ALPINISTI e a GRUPPI DI OPERATORI IN MONTAGNA
- FRIEND D’ORO anno 2002 all’Amico alpinista CIRILLO FLOREANINI
Cirillo Floreanini nacque a Enemonzo nel 1924. Da bambino ascoltò le narrazioni alpinistiche di Giusto Gervasutti che in seguito ne influenzarono il suo destino. Il primo contatto con l’Alpe, inteso come arte di scalare le montagne, lo ebbe nel 1943 in occasione della frequenza della Scuola militare Alpina di Aosta. Fin dal 1946 si iscrisse al CAI, sodalizio in cui trovò ampio spazio per esprimere le sue innate qualità di organizzatore e di innovatore, unitamente a una spiccata propensione per il volontariato.
Alpinista provetto si espresse con prime salite di grande livello tra gli anni ’40 e ’50: iniziò il 7 settembre 1947 con Renzo Stabile sulla parete sud del Monte Cjadenis, con Mirko Kravanja il 4 settembre 1949 fu sul Piccolo Mangart di Coritenza, il 21 febbraio 1949 salì la via Deye-Peters in prima invernale alla Torre della Madre del Camosci con Umberto Perissutti, ancora d’inverno, il 18 marzo 1953, e da solo percorse lo spigolo nord alla Cima Alta di Riobianco; la sua attività si spinse anche in Dolomiti e fino al Pizzo Badile nelle Alpi centrali.
La sua carriera e la sua fama alpinistica, tuttavia, sono strettamente legate alla conquista del K2 da parte della spedizione italiana del 1954.
La sua attività di formatore iniziò a Cave del Predil nel 1948, dove lavorava alle dipendenze dell’amministrazione mineraria, su richiesta di Nogara. Qui conobbe e frequentò i fratelli Perissutti, Lorenzo Bulfon, Kravanja e Ignazio Piussi. In seguito divenne Istruttore nazionale e fece parte della Commissione scuole fino a divenire, tra il 1974 e il 1990, direttore della Scuola Centrale di Alpinismo e direttore dei corsi per Istruttori Nazionali. È del 1955 il primo corso di alpinismo che tenne al Rif. De Gasperi, cui ne seguirono tanti fino a fondare la scuola che oggi porta giustamente il suo nome.
E ancora, nel 1950 è Accademico e poi Socio onorario del CAI. Nel 1964 costituì la Delegazione regionale del CAI: la rappresentanza di tutte le locali sezioni nei confronti della Regione e del CAI centrale; dal 1962 al 1967 si attivò con la Commissione Giulio-Carnica sentieri che presiederà fino al 1975. Nel 1966 Tolmezzo si staccò dalla Società Alpina Friulana per divenire Sezione autonoma e Cirillo ne fu primo presidente. Il 1972 è l’anno della costituzione del Servizio valanghe Italiano e Cirillo diventò il delegato per la regione Friuli Venezia Giulia.
Nel 1986, a coronamento della sua attività sociale e alpinistica, fu insignito della Medaglia d’oro del CAI.
Anche il soccorso alpino deve tanto a Cirillo: inizialmente il primo nucleo si insediò informalmente a Cave del Predil nel 1953 ed egli fu il responsabile; l’anno dopo fu fondato il Corpo Nazionale Soccorso Alpino con il Nostro a capo della delegazione di prima zona (il Friuli Venezia Giulia) che guidò ininterrottamente fino al 1994.
Cirillo Floreanini ha saputo trasfondere nella società civile, attraverso il volontariato, i grandi valori che solo la montagna sa imprimere nell’animo degli uomini più sensibili.
Ravascletto, 14 dicembre 2002
- FRIEND D’ORO anno 2004 all’Amico alpinista LUIGI PACHNER
Fra le due grandi guerre, Luigi Pachner, nato a Cima Sappada il 19 giugno 1909, divenne il ‘re’ delle Alpi Carniche quando riuscì, assieme a suo fratello Emilio, a primeggiare tra i molti alpinisti del Nord che, spinti dalla moda del tempo, avevano preso d’assalto le nostre pareti settentrionali.
Lo troviamo per la prima volta sulla guida delle Alpi Carniche nel 1932, quando aprì una via nuova in solitaria sulla parete sud est del Peralba: scalata breve, ma di un buon V grado. Di seguito, con clienti o per pura passione, lo vedemmo salire su tutte le cime attorno al suo paese lasciando una grossa eredità alla nostra generazione di appassionati.
Guida alpina nel 1937, Maestro di Sci nel 1939, per essersi espresso contro le guerre nell’aprile dello stesso anno fu mandato al confine per quasi tre anni e poi in Friuli, dove conobbe la sua Luigia. Finito il conflitto poté riprendere la sua vita di montanaro: gestì per nove anni il Rifugio ‘Pier Fortunato Calvi’, poi il Rifugio ‘De Gasperi’, in annate che sicuramente non davano il reddito dei giorni nostri. Continuò a fare alpinismo fino a chiudere le ‘sue’ vie nuove nel 1969 con la bellissima via della parete sud-sud ovest alla Creta Cacciatori, quasi un V grado, salita ben 37 anni dopo la parete sud est del Peralba e alla venerabile età di 60 anni.
Onore al merito per la grande passione profusa con dedizione totale alle nostre montagne e per averla saputa trasmettere ai suoi tre figli ed a generazioni di giovani alpinisti.
Forni di Sopra, 20 marzo 2004
- FRIEND D’ORO anno 2005 all’Amico alpinista IGNAZIO PIUSSI
Quando lavorava nelle miniere di Cave del Predil faceva parte del soccorso alpino; numerosi furono i suoi interventi non già per turisti o rocciatori in difficoltà, ma a favore di profughi iugoslavi che fuggivano attraverso il Mangart dagli spari delle guardie di confine.
Nasce in una sperduta e sconosciuta località della Val Raccolana, tra le Alpi Giulie, dove comincia la sua avventura di montanaro prima che di alpinista e là, oggi, è tornato a vivere.
Non abbandona mai la sua terra, anche se avara come poche, anche se ricordo e testimonianza di fatiche, solitudine e talvolta di fame, mitigata più volte dal frutto del bracconaggio. Tutto ciò lo ha fatto duro, indipendente, solitario, ma non schivo e sfuggente.
È stato con Floreanini istruttore della Scuola Carnica di Alpinismo e, sempre accompagnato da un dolce e caldo umorismo, molti sono stati i suoi amici di cordata, con i quali ha fatto cose impensabili; tra i tanti ricordiamo Redaelli, Sorgato, Mazeaud, Cassin, Casarotto, Messner; diversi sono stati i suoi compagni inglesi, francesi, polacchi.
Essendo impossibile raccontare le sue molteplici e grandi scalate, ci piace ricordare solo alcuni suoi capolavori come la salita alla parete sud della Torre Trieste, quella del pilone centrale del Frêney, la prima salita invernale alla via Solleder-Lettembauer e la NO della Punta Tissi sulla Civetta, le spedizioni nell’Antartide e nell’Himalaya: queste ed altre imprese lo hanno indicato, in quegli anni, tra i più forti alpinisti al mondo.
Pierre Mazeaud con Nereo Zeper disse di lui “Non c’è essere vivente che ami tanto la vita come Ignazio, individuo pieno di colori e di sensibilità, forza della natura, narratore instancabile con quel suo accento melodioso del Friuli, e soprattutto personaggio estroverso, c’è dell’istrione in lui” conclude “Caro Ignazio, tu sei di quelli che mi hanno insegnato molto della vita, e dunque dell’essenziale”.
Gli diciamo grazie anche noi.
Forni Avoltri, 16 aprile 2005
- FRIEND D’ORO anno 2006 all’Amica alpinista NIVES MEROI
Martedì prossimo Nives Meroi, assieme ad altri pochi protagonisti, partirà alla conquista del Dhaulagiri (8167 m) e dell’Annapurna (8047 m).
Assieme a suo marito Romano Benet e a Luca Vuerich, tra il luglio ‘98 e il maggio ‘99, ha scalato in Pakistan il Nanga Parbat, il Shisha Pangma e il Cho Oyu; in pochi giorni nel luglio 2003 nella catena del Karakorum ha salito il Gasherbrum II (8035 m), il Gasherbrum I (8068 m), il Broad Peak (8048 m): è l’unica ad essere riuscita in una simile impresa.
Con la conquista del Lhotse (8501 m) nel 2004, è tra le poche donne al mondo ad aver scalato sette dei quattordici colossi che superano gli ottomila, senza contare un’ardita salita al K2 nel 1994 che l’ha portata ad un soffio dalla vetta lungo un itinerario mai percorso prima: nell’estate di quest’anno tenterà nuovamente l’impresa della scalata alla montagna più difficile e ribelle della terra.
Le salite sono tutte state effettuate in stile rigorosamente alpino rinunciando, cioè, al supporto delle bombole d’ossigeno e dei portatori d’alta quota.
È accademica del Club Alpino Italiano, come il suo Romano, affettuoso punto di riferimento.
Dotata di un sorriso dolce, tenero, accattivante, di un estetismo esile, sottile, delicato quasi diafano, Nives è l’antitesi della fragilità.
La sua forza, il suo coraggio e le sue molteplici energie, la pongono costantemente a misurarsi con il mondo maschilista, particolarmente imperante nell’alpinismo, fino a dividerne pesi e compiti non propriamente dovuti.
L’incontro con la scalatrice, ha scritto un giornalista, non può che tradursi in una lezione di stile e di misura, merce piuttosto rara nella concitata babele dell’alpinismo himalayano.
Residente nella sua Tarvisio, patria delle prime arrampicate, da dove scrive con talento e competenza, è testimonianza dell’innamoramento persistente, coerente e totale per la montagna.
Un affettuoso augurio per la tua nuova avventura da parte di tutti noi.
Tolmezzo, 25 marzo 2006
- FRIEND D’ORO anno 2007 all’Amico alpinista QUINTO ROMANIN
È nato a Forni Avoltri il 2 novembre 1931.
Le prime gite sono il Monte Avanza, il Coglians, il Siera e il Chiadenis, montagne di grande fascino.
A quindici anni nella pratica sportiva dello sci di fondo, si mette già in evidenza nelle gare provinciali del Comitato Carnico-Giuliano.
Contemporaneamente inizia a gareggiare anche nella corsa in montagna.
Il militare lo fa con gli Alpini ed è subito alla Scuola Alpina di Aosta. Corre per la Società Sportiva di Ravascletto, entra in Polizia, nella Scuola Alpina di Moena ove si ritrovano numerosi specialisti dello sci. Per tre anni di fila il gruppo vince il titolo italiano assoluto di società.
In queste discipline la carriera di Quinto proseguirà come allenatore del Comitato Carnico Giuliano, della squadra Nazionale Femminile, allora agli esordi, del Gruppo Sportivo Fiamme Oro, impegnato nello sci di fondo, nello sci-alpinismo, nella corsa in montagna.
Ma è soprattutto l’attività di rocciatore che lo affascina maggiormente. Apre nuove vie sulle montagne di casa e nel ’57 si lega in cordata a De Francesch, Cesare Franceschetti ed Emiliano Wuerich.
Le imprese di quegli anni fanno parte dell’Albo d’Oro della storia dell’alpinismo dolomitico: il pilastro sud-est del Sass Pordoi (1959), lo spigolo del Cielo alla Torre Winkler (1959), la via Olimpia all’Anticima Nord del Catinaccio (1960), la via Italia ‘61 al Piz de Ciavazes (1961), la via del Concilio alla Roda di Vaèl (1962), e il successivo poker di nuove vie sul Torrione Roma, Punta Aurelia, Sass de Furcia (questa realizzata con Sereno Barbacetto) e Punta di Soel, effettuate fra il 1966 e il 1968.
Quinto non parla volentieri delle sue imprese ma preferisce il ricordo di tanti salvataggi operati sulla montagna, tra gli altri il famoso recupero del 1959 della cordata di Giulio Gabrielli dalla parete sud-ovest della Marmolada.
Noi lo ricordiamo anche impegnato come soccorritore l’indomani del 4 novembre 1966, quando le nostre vallate alpine furono devastate da una spaventosa alluvione.
Anche in questo frangente emersero la capacità e l’umana solidarietà di Quinto Romanin.
Sutrio, 31 marzo 2007
- FRIEND D’ORO anno 2008 all’Amico alpinista SERENO BARBACETTO
Sereno Barbacetto ha aperto sulle montagne di casa negli anni ‘60 nuove vie di alta difficoltà dal Gramspitz, alla Creta di Timau, alla Cima Canale, al Bila Pec.
Trasferitosi per lavoro a Bolzano diviene accademico del CAI ed istruttore del locale Gruppo Alta Montagna. Come alpinista di punta partecipa con Riccardo Cassin alla spedizione nazionale del CAI al Lhotse nel 1975 giungendo fino a 7500 metri.
Il carattere introverso gli ha fatto privilegiare l’attività solitaria di cui è divenuto, negli anni ’60 e ’70, maestro indiscusso.
Rigoroso nella preparazione atletica, ha arrampicato con la ‘sua’ filosofia di essere solo in parete, non ricevere aiuto esterno, non aver mai salito l’itinerario prescelto. Ha salito le vie di maggior difficoltà del Brenta, del Pelmo, della Marmolada, della Civetta e del Catinaccio.
Carnico nel tenace legame alla montagna ed alla riservatezza, vive a Zovello con sua moglie Bruna. Si è sistemato da solo la casa e lo stavolo, ha fatto rivivere il prato ed il frutteto recuperando, con ingegnose innovazioni tecnologiche, i mestieri di falegname, boscaiolo, cavatore e muratore dei suoi vecchi.
Atleta polivalente, dall’arrampicata, allo sci, al deltaplano, con un solido ed affettuoso rapporto con l’ambiente naturale, Barbacetto onora la cultura alpina e le sue tradizioni.
Forni di Sotto, 19 aprile 2008
- FRIEND D’ORO anno 2009 all’Amico alpinista ROMANO BENET
Lo hanno definito un alpinista nato, dotato di quello speciale fiuto per cui – più che vedere – ‘sente’ qual è la strada giusta per salire o scendere una montagna, orientandosi anche tra le nebbie più fitte: un sesto senso proprio solo dei grandi alpinisti.
Arrampica da più di 20 anni con Nives Meroi, sua compagna di vita oltre che di cordata, con la quale ha raggiunto le vette di ben 11 dei 14 Ottomila, senza l’ausilio di ossigeno supplementare, portatori d’alta quota e campi fissi. Per ricordare le imprese più celebri: nel 2003 (in soli venti giorni) il Gasherbrum II, il Gasherbrum I e il Broad Peak e nella stagione 2006-2007 il Dhalaugiri, il K2 e l’Everest.
Oltre all’attività himalayana e nella catena del Karakorum, si è dedicato alle più diverse esperienze alpinistiche: dalle più difficili vie delle Alpi Giulie, delle Dolomiti, del Monte Bianco e del Cervino, fino a raggiungere le vette peruviane.
L’impegno di Romano non si manifesta esclusivamente nelle arrampicate, ma anche nell’importante settore del volontariato: infatti, sempre insieme a Nives, è Presidente onorario dell’Associazione Friuli Mandi Nepal Namastè che da alcuni anni opera per migliorare l’accesso all’educazione scolastica dei bambini nepalesi.
Un grande esempio di umanità e solidarietà, frutto di esperienze di vita che arricchiscono quanti sanno guardare nel cuore più profondo delle realtà cui partecipano: Romano è tra questi.
Malborghetto, 12 settembre 2009
- FRIEND D’ORO anno 2010 all’Amico alpinista UMBERTO PERISSUTTI
Da ragazzo pastore un giorno si accorse con meraviglia delle rocce di Malga Portella e, impaurito, scese rapido in paese. Il giorno dopo provò a toccarne con le mani le asperità e, guardando in alto, cercò di immaginare il proprio futuro.
Era uomo, ormai alpinista in cerca di tranquillità e di linee essenziali sulle pareti dell’Ago di Villaco, quando sentì la presenza di un altro ragazzo pastore: cosa vuoi? Tu non sei Berto Perissutti? Sì, e tu chi sei? Mi chiamo Ignazio Piussi… e allora l’uomo mostrò al ragazzo come lo sguardo possa essere seguito dai gesti dell’arrampicata.
Da allora ha percorso le grandi pareti delle Alpi Giulie legandosi in cordata con coloro che negli anni ’50 e ’60 hanno saputo spingere in alto i limiti del possibile, realizzando prime ascensioni registrate negli annali della storia dell’alpinismo: le Cinque Punte di Raibil, il pilastro nord del Piccolo Mangart di Coritenza, la parete nord della Veunza, il Pinnacolo della Cima del Vallone, lo spigolo Deye-Peters della Madre dei Camosci salito durante l’inverno.
L’abilità acquisita con le manovre di corda e il coraggio necessario ad affrontare le incognite di rocce aggettanti le ha volute unire a quelle degli altri alpinisti di Cave del Predil, per soccorrere chi si è trovato in grave difficoltà sui dirupi e recuperare chi è rimasto intrappolato nelle viscere della miniera.
Spirito libero e schivo, ha percorso le vie verticali con naturalezza e semplicità, senza mai lasciare tracce, come percorre oggi la strada per il lago di Raibl, lasciandosi commuovere dalla struggente bellezza di albe e tramonti, in cerca della chiave che, forse, permette di comprendere l’anima dei monti.
Pontebba, 16 ottobre 2010
- FRIEND D’ORO anno 2011 all’Amico alpinista SERGIO DE INFANTI
Sergio De Infanti è un uomo di montagna che sa: sa trasformare un albero in legname, sa fendere la neve dell’inverno con gli sci, sa trovare tra le pieghe di una grande parete di roccia una via di salita, sa cogliere azioni ed emozioni da trasfondere in pagine scritte.
Ha conosciuto le montagne del mondo per necessità e per passione e ha coniugato, come pochi hanno saputo fare, la pura conquista dell’inutile con l’impegno professionale di maestro di sci, di guida alpina e di imprenditore turistico.
Pur avendo partecipato da protagonista ad alcune spedizioni alpinistiche in Turchia, nell’Indo Kusch pachistano, nelle Ande peruviane e all’Everest, il suo sguardo malinconico non si è mai staccato dalle cime rocciose della Carnia. Cime che gli hanno concesso di tracciare innumerevoli vie di arrampicata di ogni difficoltà, di salire per primo pareti, torri e campanili i cui toponimi, oggi, fanno parte della geografia alpina.
Grazie alla sua costanza e alla sua tenacia di alpinista e scrittore è stato portato all’attenzione del mondo alpinistico italiano un universo pressoché sconosciuto di dolomia e di calcare.
I suoi numerosi libri, articoli, racconti e filmati, che gli hanno permesso di accedere al Gruppo Italiano Scrittori di Montagna, oltre a essere densi di descrizioni di tracciati alpinistici propri e altrui e di avventure vissute, mostrano soprattutto, attraverso una schietta narrazione, la passionalità che ha sempre legato Sergio De Infanti alle sue Alpi Carniche.
Paluzza, 24 settembre 2011
- FRIEND D’ORO anno 2012 all’Amico alpinista MARCELLO BULFONI
È nato nel 1938 e vive a Pagnacco, il paese delle colline moreniche da cui scorge nelle giornate limpide l’arco alpino che chiude a nord l’alta pianura friulana. Sono proprio quelle montagne che, inizialmente raggiunte in bicicletta e salite in solitudine, gli aprirono negli anni ’50 i vasti orizzonti delle Alpi Giulie e delle Alpi Carniche. La prima salita in cordata la compì sulla Medace, campanile satellite della Creta Grauzaria, nella primavera del 1959 ma già alla fine dell’estate di quell’anno la preparazione e l’entusiasmo furono tali da spingerlo su una parete mai percorsa da altri: la famosa via Bulfoni-D’Eredità alla parete sud della Cima Piccola della Scala.
A quella salita seguirono una cinquantina di altre prime ascensioni tra cui si ricordano, per la grande difficoltà e per l’apprezzamento mai sviliti nel tempo, il diedro alla parete nord della Torre Nuviernulis e lo spigolo nord alla Cima della Sfinge, vette collocate nel prediletto gruppo Sernio-Grauzaria. Il suo alpinismo esplorativo ha spaziato anche su altri gruppi fino ad allora negletti come il Rinaldo e le Crode dei Longerin che coronano la verde Val Visdende.
La curiosità per le montagne del mondo lo ha spinto anche oltre oceano organizzando, da solo o in spedizione, l’ascensione a 18 cime inviolate nella Cordigliera Andina di cui una oltre i 6000 metri.
Egli ha saputo coniugare la forte passione per le scalate con il lavoro di guida alpina a partire dal 1968; è in questo contesto che, oltre ad accompagnare tante persone sulle sue montagne, ha voluto consolidare con pazienza e tenacia il futuro delle giovani guide che si affacciavano alla professione negli anni ’80, mediante l’ottenimento della legge regionale di settore del 1984. Prezioso è stato anche il suo apporto tecnico e umano al soccorso alpino prestato per molti anni a fianco dei volontari della Stazione del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico di Moggio Udinese e Pontebba.
Il merito tuttavia va ben oltre il curriculum alpinistico e l’impegno sociale: la propensione per un’etica rigorosa applicata all’alpinismo e il rispetto per le montagne continuano a essere ideali da comunicare in modo sferzante ma sincero, attraverso il racconto delle proprie imprese con il cipiglio e l’ironia che da sempre contraddistinguono Marcello Bulfoni.
Tolmezzo, 22 settembre 2012
• LEGGIMONTAGNA 2013
Riconoscimento ai MANUTENTORI DEI SENTIERI in occasione del 150° anniversario del CAI
• LEGGIMONTAGNA 2014
Riconoscimento al SOCCORSO IN MONTAGNA DI AUSTRIA, SLOVENIA, ITALIA
• FRIEND D’ORO anno 2014 all’Amico alpinista SPIRO DALLA PORTA XYDIAS
• LEGGIMONTAGNA 2016
Riconoscimento alla STRUTTURA DI PREVENZIONE RISCHIO VALANGHE
- • FRIEND D’ORO anno 2016 all’Amico alpinista ROBERTO MAZZILIS
Personalità decisa, ribelle, inconsueta, Roberto Mazzilis riassume in sé tratti di genialità che caratterizzano alcuni uomini di montagna.
Per lui la Carnia è stata un punto di riferimento, all’inizio per l’emozione delle prime uscite di alpinismo giovanile, successivamente per la preparazione atletica, le scalate e il recupero delle energie dopo le sue imprese, molto note ed apprezzate nel mondo dell’alpinismo.
Accademico del Club Alpino Italiano, comincia a scalare sulle orme dello zio materno, che gli insegna i primi ‘fondamentali’, tra i quali l’importanza di rientrare a casa sano e salvo. A 17 anni, nel 1977, quando le scarpette da arrampicata non si usavano ancora, apre le prime vie alpinistiche. L’anno successivo, con Ernesto Lomasti – l’unico col quale accettava di arrampicare a comando alternato – apre una delle prime vie di VII sulla parete nord della Cima Grande della Scala.
A questi primi passi sono seguiti moltissimi altri ‘solidi appigli’: ha un migliaio di vie alpinistiche al suo attivo, tra le quali si annoverano le principali scalate dell’arco alpino e soprattutto delle Dolomiti; 440 le sue nuove vie aperte in ambiente alpino, principalmente sulle Alpi Carniche e Giulie, per un totale di oltre 300 chilometri; più di 90 le sue ripetizioni in solitaria fino al VII, delle quali alcune in assoluto soloing; non mancano le ripetizioni invernali e le ascensioni su cascate di ghiaccio.
Socio fondatore della Sezione Speleologica Michele Gortani di Tolmezzo, ha coltivato anche questa passione con lo spirito di chi si mette in gioco nella scoperta e nell’esplorazione.
Componente del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna, premiato nelle edizioni del 2004 e del 2010 di Leggimontagna, ha pubblicato numerose guide di arrampicata, vie ferrate e sentieri. Un titolo per tutti: Val Visdende. Peralba, Chiadenis, Avanza, scritto con il suo mentore Spiro Dalla Porta Xydias.
Tolmezzo, 29 ottobre 2016
- FRIEND D’ORO anno 2017 all’Amico alpinista ANTONIO BEORCHIA NIGRIS
Ampezzano di nascita e argentino di adozione, è uno straordinario alpinista che ha salito le vette andine dalla fine degli anni Cinquanta ai primi anni del Duemila. La sua attività alpinistica è iniziata da esploratore, quando le cime erano ancora inviolate e le attrezzature erano davvero rudimentali. Numerosissime sono le vette che ha scalato in tutte le stagioni, le prime salite e le ripetizioni di vie già percorse. La curiosità e l’irrequietezza l’hanno sempre guidato alla ricerca e alla conquista della meta successiva.
Appassionato archeologo, è un punto di riferimento imprescindibile nel campo dell’archeologia d’alta montagna. È stato uno degli scopritori de La Mumo del Cerro El Toro, il corpo mummificato di un giovane inca rinvenuto a oltre 5000 metri di quota, sul Cerro del Toro in Argentina nel 1964. La Mumo è esposta al Museo archeologico di San Juan, dove si possono ammirare altri reperti rinvenuti da Beorchia. Ha fondato e diretto il Centro de Investigaciones Arqueológicas de Alta Montaña (Centro di Ricerca Archeologica d’Alta Montagna); con il Centro ha realizzato e dato alle stampe numerose ricerche. Tra le sue pubblicazioni sul tema dell’archeologia di montagna fondamentale è il testo El enigma de los santuarios indigenos de alta montaña edito dall’Università Nazionale di San Juan.
Scrittore, giornalista e anche fotografo, per le sue opere ha ricevuto premi e riconoscimenti di rilievo, tra i quali si ricorda la nomina a Cavaliere della Repubblica Italiana.
Un’altra sua passione sono i cavalli e i muli; spesso nei trasferimenti di avvicinamento alle cime ha rifiutato i mezzi a motore per prediligere una cavalcata selvaggia. El Gaucho Tano, come l’hanno definito, è componente della Confederazione Gaucha Argentina.
La radice carnica è rimasta vitale da quando è partito emigrante, anche grazie ai ricordi ascoltati dai genitori in gioventù, dopo aver varcato l’Oceano. Ed è da queste memorie che nacque cinquant’anni fa in Antonio il desiderio, quasi l’esigenza, di scrivere un libro sulla sua famiglia e sulla sua terra d’origine. Il libro è oggi una realtà dal significativo titolo Carta a mis discendientes (Lettera ai miei discendenti).
Ci sentiamo anche noi metaforicamente destinatari della sua ‘lettera’, condividendo il grande rispetto e amore per la montagna che Lui ha sempre avuto.
Tolmezzo, 28 ottobre 2017
- FRIEND D’ORO anno 2019 all’Amico alpinista CLAUDIO CARRATÙ
Claudio Carratù considera Julius Kugy il suo vate e ha nel cuore le Alpi Giulie, in particolare al Montasio.
Nato nel 1935 a Tarvisio (Udine), dal 1941 è vissuto con la famiglia nel centro minerario di Cave del Predil. Come lui stesso ricorda, ha cominciato a conoscere la montagna giovanissimo: in escursione nella zona del Mangart con la madre dall’età di tre anni, le prime uscite sui monti intorno al paese verso i dieci anni.
Dopo un primo periodo giovanile dedicato allo sci agonistico, ha iniziato ad arrampicare nel 1953. È entrato a far parte del forte gruppo di alpinisti locali, costituitosi sotto la guida di Cirillo Floreanini, che si era proposto di ripetere le vie più belle e difficili delle Giulie Occidentali, nonché di aprire delle nuove vie. Del gruppo faceva parte anche il suo coetaneo ed amico Ignazio Piussi.
Dopo due anni in Brasile per lavoro, è rientrato in Italia per il servizio militare, svolto a Pontebba, e successivamente ha trovato lavoro a Milano, dove è entrato in contatto con l’ambiente alpinistico lombardo. Assunto alla Zanussi nel 1965, si è traferito a Pordenone, in Friuli.
Si è dedicato in particolare alle ripetizioni delle grandi vie sulle pareti nord delle Alpi Giulie Orientali e Occidentali, tra le quali sono state fondamentali le ripetizioni delle vie Piussi al Piccolo Mangart di Coritenza e Floreanini sempre al Piccolo Mangart. Ricorda con piacere alcune vie di grande bellezza delle Giulie Orientali, ripetute con Italo Stefani: Travnik parete nord ovest (via Aschenbrenner, via Kilar-Lavstek), Ṥite parete nord ovest (via Lavstek-Shara per il gran diedro), Triglav parete nord (via Cop al pilastro), Spik parete nord (via Debelakova).
Ha arrampicato molto in ripetuta anche fuori dalle Giulie: le vie Solleder in Civetta, Jori all’Agner, Scoiattoli alla Scotoni, Carlesso alla Valgrande, Tissi alla Torre Trieste, Comici alla Grande di Lavaredo, Cassin alla Ovest di Lavaredo, Dulfer alla Grande di Lavaredo, Costantini al Pilastro della Tofana.
Sulle Alpi Carniche ha scalato sulla Cjanevate, sul Peralba e sull’Avanza.
La sua prima via nuova è sulla Cima Grande della Scala nelle Alpi Giulie, liberata a vent’anni. Ma per quanto riguarda le sue prime, emerge soprattutto il periodo 1980-90, quando la sua attività si è rivolta alla apertura di vie nuove sulle Dolomiti d’Oltre Piave, in cordata principalmente con Giacomo Giordani (suo compagno di cordata per dieci anni) e Mauro Corona. Lui stesso sottolinea che il suo approccio alla scalata di vie nuove è stato di tipo tradizionale, non ha fatto mai ricorso all’artificiale.
Componente dal 1953 della Stazione di Cave del Predil del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, la prima in Regione, dal 1956 al 2003 ha operato nella Stazione di Pordenone.
È stato Istruttore nella Scuola di alpinismo e sci alpinismo “Val Montanaia” del CAI di Pordenone dal 1966 al 1986. È Accademico del CAI dal 1976.
Ha collaborato nella stesura di varie parti della Guida dei Monti d’Italia (CAI-TCI) ed in particolare per quella delle Alpi Giulie (Buscaini) e delle Dolomiti Orientali (Berti). Negli ultimi quattro anni ha collaborato con Peter Podgornik alla realizzazione della nuova guida alpinistica delle Alpi Giulie.
Ha compiuto circa 465 scalate tra ripetizioni e nuove vie, estive e invernali; il 20% di queste sono solitarie free. Le ultime solitarie sono del 2009, l’ultima via nuova è dell’agosto 2012: una variante di una via di Floreanini sul Torre Guarda.
La sua riservatezza ha celato le sue notevoli imprese e la sua vasta competenza, caratteristiche dei grandi personaggi del mondo della Montagna.
Tolmezzo, 19 ottobre 2019
- FRIEND D’ORO anno 2020 all’Amico alpinista ROBERTO SIMONETTI
Roberto Simonetti, nato a Cabia nel 1954 e trasferitosi a Udine due anni dopo con tutta la famiglia, ha mantenuto sempre profondi legami con la sua terra di origine. Innata l’attrazione per l’arrampicata, dapprima sugli alberi e sulle muraglie, poi sulle rocce dei vicini monti Cucco e Tersadia.
Con queste premesse cresce spontaneamente in Lui l’interesse per la geografia e la geologia, alle quali si dedica intensamente durante gli studi universitari.
Nel 1972, ancora minorenne, frequenta un corso di roccia organizzato dalla Saf e apprende le tecniche fondamentali di arrampicata, applicate sempre con particolare riguardo alla sicurezza e alla prudenza, approccio che lo ha contraddistinto durante tutta la sua lunga attività alpinistica.
Alla Saf conosce Paolo Bizzarro col quale, per la prima volta, affronta le grandi pareti del Civetta e delle Tre Cime di Lavaredo e, all’inizio degli anni settanta, apre alcune impegnative vie sulla Sfinge della Grauzaria e sulla nord del Peralba, fa l’invernale del Camino Feruglio alla Cima dei Gjai e una delle prime ripetizioni della via Lacedelli alla Cima Scotoni.
Negli anni successivi al terremoto del Friuli, grazie all’amico Giuseppe Tacoli, prende parte a due spedizioni leggere all’Hoggar (febbraio 1977) e alla bellissima Garet el Djenoum (marzo 1978), dove con Paolo Bizzarro fa la prima ripetizione italiana dell’entusiasmante sperone Anglada.
Durante l’estate dello stesso anno realizza la seconda ripetizione del Pilastro Piussi al Piccolo Mangart di Coritenza assieme ad Andrea De Rovere, Ernesto Lomasti e Valter Cucci.
Sempre nell’estate del 1978, volendo fare una nuova salita sulla nord del Pizzo Timau, entra casualmente in contatto con Roberto Mazzillis, allora diciasettenne. Insieme portano a termine velocemente la salita. Questo splendido esordio segna l’inizio di una solida e duratura amicizia che va al di là del solo ambito alpinistico.
Conseguita la laurea in geologia, parte per un viaggio alla scoperta della Cordillera Huayhuasch e, successivamente, si trasferisce per lavoro in Arabia Saudita dove vive per due anni.
Nel 1990 entra a far parte del Club Alpino Accademico Italiano.
Sono numerose le ripetizioni di famose vie e l’apertura di altre nuove fino al 2007.
Per contrastare un problema fisico comparso in quel periodo reagisce intensificando gli allenamenti e con rinnovata grinta apre numerose vie nuove sulle adorate montagne di casa: Creta di Aip, Monte Zermula, Creta di Timau e Monte Sernio.
A sessant’anni comincia a frequentare le Pale di San Lucano, pareti che considera l’apoteosi per quanto riguarda l’alpinismo dolomitico, capaci di offrire avventure estremamente coinvolgenti.
Affronta numerose arrampicate con due fortissimi giovani compagni di cordata: Federico Dal Mas e Nicola Cozzi, con il quale nel 2013 apre una nuova impegnativa via sulla nord della Creta di Timau.
I risultati della sua lunga attività alpinistica sono senza dubbio di assoluto valore, raggiunti con una passione fuori dal comune, con l’attenzione e la prudenza che esige l’alpinismo, con un’etica improntata al rispetto della montagna e della natura in generale.
Roberto Simonetti non dimentica mai di ringraziare i suoi compagni di cordata ai quali riconosce almeno la metà del merito di tutto ciò che ha fatto.
Tolmezzo, 17 ottobre 2020
- FRIEND D’ORO anno 2021 all’Amico alpinista RODOLFO SINUELLO
Rodolfo Sinuello è nato nel 1938 a Purgessimo di Cividale del Friuli, dove attualmente risiede.
Ha calcato vette vicine e lontane con lo spirito dell’alpinista verace a partire dagli anni ’60, epoca in cui valevano ancora i valori, i sentimenti, le tecniche e i mezzi dell’”alpinismo eroico”. Dalle montagne vicine a casa, come il Monte Matajur, il Monte Nero e il Monte Rosso, percorsi centinaia volte, l’iniziale curiosità rivolta agli itinerari classici di arrampicata si è trasformata in intensa affezione come per il Campanile di Val Montanaia, salito ben 52 volte, e la Cima Piccola di Lavaredo raggiunta con 20 salite.
Tra il migliaio di vie alpinistiche, con difficoltà compresa tra il II e il VI grado, si annoverano la via Comici allo spigolo giallo della Piccola di Lavaredo, lo spigolo Dibona e la via Comici-Dimai alla parete nord della Grande di Lavaredo, il Campanile Basso di Brenta per la variante Pooli, la via Piaz alla Punta Emma del Catinaccio, la direttissima Messner al Sasso delle Nove, la via Feruglio-Stabile alla parete nord del Monte Sernio.
Tra le prime ascensioni assolute si menzionano la “direttissima Gervasutti” del 17/6/1966 alla parete sud del Cimone del Montasio, compiuta in cordata con Marcello Bulfoni e Tonino Mansutti, e la via Giovanna alla parete nord del Monte Sernio del 25/8/1974 aperta con Virgilio Burba e Franco Quagliaro. Sono tuttavia due prime salite invernali, legate ai più bei nomi dell’alpinismo friulano di allora, che brillano nel suo curriculum alpinistico, entrambe collocate sulla verticale parete est del Bila Pec. La via Gilberti – Soravito scalata il 26/12/1969 e la prima ripetizione della via Barbacetto – De Infanti, salita due giorni dopo, entrambe in cordata con Angelo Ursella.
Notevole è stato anche l’intendimento esplorativo proiettato verso le montagne di altri continenti con ben dodici spedizioni all’attivo, di cui sei affrontate come capo spedizione: dall’Egitto nel 1977, al Pakistan nel 1978, alla Turchia nel 1985, alla Bolivia e all’Argentina dell’Aconcagua nel 1995. Ha visitato le cordigliere del Perù per ben sette volte tra gli anni 1979 e 1989, contribuendo nel 1981 a realizzare una prima impegnativa salita al Nevado Sarapo, alto 6143 m, e raggiungendo nel 1989 i 6040 m del Kitaraju.
Tanta esperienza umana e alpinistica non è tuttavia rimasta confinata nelle cronache di viaggio o nel taccuino personale. Rodolfo nel 1970 è divenuto istruttore triveneto e poi istruttore nazionale del CAI nel 1972 e per ben quaranta anni ha diretto la Scuola di alpinismo della Sezione del CAI di Cividale, trasferendo le proprie conoscenze a tutti coloro che hanno sentito il richiamo delle cime attraverso le ardue vie dell’alpinismo.
Egli è stato anche presidente della sezione del CAI di Cividale per due mandati e per altri cinque vicepresidente. A motivo della sua lunga militanza come soccorritore è socio emerito del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico.
Tolmezzo, 16 ottobre 2021
- FRIEND D’ORO anno 2022 all’Amico alpinista ATTILIO DE ROVERE
Attilio De Rovere, udinese, la montagna l’ha conosciuta fin da bambino e presto ha cominciato ad arrampicare da autodidatta. A partire dai 16 anni ha frequentato i più forti alpinisti udinesi: Paolo Bizzarro e Roberto Simonetti, con i quali ha salito con gli scarponi di cuoio le prime vie dolomitiche da capo cordata: Spigolo Giallo in Lavaredo, Spigolo del Pilastro della Tofana, via Detassis alla Brenta Alta. Da allora le scorribande dolomitiche, carniche e giuliane con frequenza settimanale l’hanno visto in cordata con Walter Cucci, Roberto Mazzilis, Alain Cucchiaro, Riccarda De Eccher, Francesco Piardi su vie al tempo considerate estreme: via dei Fachiri a Cima Scotoni, Pilastro Messner al Sass dla Crus, via Hasse Brandler alla Cima Grande di Lavaredo, Diedro Cozzolino e via Lomasti al Piccolo Mangart di Coritenza, diedro Philipp-Flamm in Civetta, via Vinatzer con variante Messner e via Gogna in Marmolada, via Biasin al Sass Maor e molte altre. Con il fidato amico di sempre, Gabriele Mancini, si è inoltrato anche sui massicci granitici del Monte Bianco (via Bonatti al Grand Capucin, Diretta Americana ai Dru) e della Val di Mello (Oceano irrazionale al Precipizio degli Asteroidi), fino ad “accarezzare” il magnifico calcare del Verdon.
Sulle Alpi Carniche ha aperto svariate vie nuove. Il suo fluido stile di arrampicata e la sua immaginazione gli hanno permesso di scoprire e portare all’attenzione internazionale quello che, dall’inizio degli anni ’80 e fino a oggi, è il comprensorio di arrampicata più ambito delle Alpi friulane: le falesie circostanti il Passo di Monte Croce Carnico, Timau e Avostanis. Inizialmente ha esplorato le linee più logiche con pochi chiodi e dadi a incastro (nut), aprendo le porte anche a quel periodo alpinistico noto come “Nuovo Mattino”, in controtendenza a un alpinismo eroico ormai al tramonto, e raggiungendo difficoltà superiori al VII grado. In seguito, con l’avvento dell’arrampicata sportiva, ha introdotto l’uso dei tasselli a espansione (spit) attrezzando le pareti salendo dal basso in compagnia prevalentemente di Giorgio Bianchi, Daniele Perotti, Giovanbattista Cattaino “il Doc”, Alvise Di Ronco. Tra la metà e la fine degli anni ’80 il “Nuovo Mattino” friulano è culminato su quelle rocce con Arrampicarnia, primo incontro non competitivo di arrampicata sportiva in Italia, di cui Attilio è stato promotore.
Pur essendo stato tra i primi a salire le cascate di ghiaccio di Sappada e della Val Raccolana con due piccozze e ramponi, ha sempre preferito la scalata su roccia cercandola anche in terre lontane come la trachite dell’Hoggar nel Sahara, l’arenaria del Wadi Rum e il granito di Yosemite.
La passione per la montagna è diventata per Attilio anche il punto di partenza per esperienze professionali. È diventato Guida alpina tra il 1982 e il 1986 e, in collaborazione con i colleghi e amici Marcello Bulfoni e Sergio De Infanti, è riuscito nell’impresa di rendere istituzionale tale figura professionale con una specifica legge regionale. A cavallo degli anni ’80 e ’90 ha redatto i due volumi della nuova guida delle Alpi Carniche per la storica e prestigiosa Collana dei Monti d’Italia edita dal CAI e dal TCI con il compagno di cordata e collega Mario Di Gallo. Da quell’esperienza “alpinistico-editoriale” ha dato l’avvio, con la realizzazione della carta del Carnia Trekking, alla prima carta escursionistica della Carnia e alla quarantennale collaborazione con la Casa Editrice Tabacco.
Così si esprime Attilio: «Arrampicare oggi per me è un modo per stare a contatto con la natura in compagnia di amici fidati, è una maniera per tenere in forma il corpo ma anche per ritemprare la mente; insomma è ancora una grande passione e una parte importante della mia vita!».
Tolmezzo, 15 ottobre 2022
- FRIEND D’ORO anno 2023 all’Amico Alpinista LINO DI LENARDO
Alpinista tanto eclettico quanto riservato, originario di Resia, classe 1957, alle luci della ribalta Lino Di Lenardo preferisce di gran lunga le pareti di casa, dalle Dolomiti Friulane, alle Alpi Giulie, anche se le prime esperienze alpinistiche, che risalgono agli anni Settanta, sono nelle Prealpi Lombarde, in Grigna con suo fratello Marino.
Già ad alto livello sono la via Costantini – Apollonio in Tofana con Roberto Mazzilis (1979), a cui seguiranno la prima ripetizione della via Lomasti al Piccolo Mangart di Coritenza (2 agosto 1980) e, sempre con Mazzilis, del diedro Cozzolino con uscita diretta (3 agosto 1980, il giorno successivo alla Lomasti).
Vanta numerose ascensioni sulle Alpi Giulie e Carniche: la via Deye – Peters sulla Torre delle Madri dei Camosci, gruppo dello Jôf Fuart; la via Lomasti – Piussi (3^ ripetizione) sulla Creta di Pricot, gruppo del Cavallo di Pontebba; lo Spigolo Nord (via integrale) sulla Sfinge della Grauzaria; la Torre Spinotti sul Cridola; la via Golli sulla Veunza, realizzate con gli amici alpinisti Luciano De Crignis, Mario Cedolin, Claudio Carratù, Sergio Barbarino, oltre al già citato Roberto Mazzilis. Nel luglio 1993 Di Lenardo ha l’onore di salire il Campanile di val Montanaia con Sergio Sabadelli e il decano Jacopo Linussio, che aveva allora 89 anni.
Diverse anche le sue ascese invernali: il camino Feruglio sul monte Sernio (prima invernale); la via Pesamosca sulla Creta di Pricot, nel gruppo del Cavallo di Pontebba; la via Floreanini – Zamolo sulla Torre Spinotti al Cridola, solo per citarne alcune.
Tuttavia le imprese di Lino non si sono limitate alle pareti rocciose di casa, la sua poliedricità lo ha portato a scalare nelle Alpi Occidentali – più volte sul Cervino (in particolare sulla via Italiana lungo la Cresta del Leone), sul Monte Rosa, sul Monte Bianco – e anche a partecipare a spedizioni extraeuropee.
Particolarmente significativa è stata l’ascesa del 1981 al Nevado Sarapo, in Perù, membro di una spedizione alpinistica friulana organizzata da Sergio De Infanti e Rodolfo Sinuello, dove Di Lenardo è stato uno dei quattro capicordata. Anche se non ha personalmente raggiunto la cima, Lino considera questa esperienza un grande successo collettivo di tutti i componenti della spedizione.
Altra avventura molto particolare di Lino in terre lontane è stata la spedizione alpinistica in Groenlandia Orientale (1984), organizzata in occasione del centenario della scoperta del popolo Tunumiit da parte dell’esploratore danese Gustav Holm. Alla spedizione, organizzata dalla guida alpina di Auronzo Gianni Pais Becher, insieme a Di Lenardo presero parte altri tredici alpinisti tra i quali i friulani Luciano De Crignis, Roberto Mazzilis e Mauro Corona.
Torrentismo, sci alpinismo, canyoning sono praticati da Lino con la personale grinta da vero sportivo. L’impegno nei confronti del prossimo lo esprime soprattutto nell’opera di volontariato svolta con il Soccorso Alpino, del quale fa parte dal 1978.
Un particolare plauso va ad un alpinista schivo, che ha raggiunto notevoli risultati ma non sa che cosa significhi l’autocelebrazione dei propri successi, che ama e frequenta la montagna con un’etica fondata sul rispetto dell’ambiente naturale che lo circonda.
- FRIEND D’ORO anno 2024 all’Amico Alpinista Giacomo Giordani
Giacomo vive dalla nascita a Claut (1954) dove frequenta fin da bambino l’ambiente montano praticando le attività tradizionali tipiche quali la fienagione, l’allevamento, le attività malghive e quelle boschive. Attività che negli anni ’60 e ’70 del ‘900 si svolgono ancora senza l’impiego di particolari attrezzature e mezzi meccanici, e che si fondano sulla collaborazione tra famigliari e l’aiuto reciproco tra conoscenti. È in questo contesto di ‘necessità’ e di solidarietà, ma anche di passione, che approfondisce la conoscenza di ambienti ancora poco esplorati, spingendosi nelle zone più impervie e sulle pareti rocciose assieme a pastori e cacciatori, per arrivare infine all’alpinismo a tutto tondo.
Nei primi anni ’70 partecipa al corso di alpinismo tenuto dalla scuola ‘Val Montanaia’ del Club Alpino Italiano di Pordenone, di cui diventerà anche istruttore. Successivamente, assieme ad un gruppo di amici e appassionati locali, avvia un’intensa attività alpinistica esplorativa con numerose prime salite sui massicci delle Dolomiti Friulane. Arrampica con il fratello Giuseppe, con gli amici di Claut, con Claudio Carratù e anche con Mauro Corona. Le più significative vie nelle alpi Giulie sono il diedro Cozzolino al Piccolo Mangart di Coritenza e la via Piussi-Peressutti al pilastro occidentale della Veunza; in Dolomiti la via Costantini-Apollonio al pilastro della Tofana di Rozes, la via Solleder al Sass Maor, la via Jori al monte Agner, la famosa via Lacedelli-Ghedina-Lorenzi alla cima Scotoni, la Cassin alla Cima Ovest di Lavaredo e molte altre. Nelle sue Dolomiti dette d’oltre Piave si cimenta in tante ripetizioni e in moltissime prime ascensioni sui Gruppi della Cima dei Viéres, dei Monti Caserine-Cornagèt, del Monte Ressetùm, della Cima dei Preti e dei Monfalconi.
Contribuisce a dare un impulso alla locale Sezione di Claut del Club Alpino Italiano (della quale sarà anche presidente), stimolando molti giovani a frequentare e conoscere i propri monti e sensibilizzandoli al rispetto dei luoghi e delle attività tradizionali.
Nel 1972, a 18 anni, entra a far parte del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, realtà che lo vede impegnato come soccorritore negli innumerevoli interventi attuati sui monti della Valcellina, delle Dolomiti, delle Alpi Carniche e Giulie. Contribuisce alla nascita della Stazione Valcellina (di cui sarà anche Capo Stazione), auspicata e creata per fornire un servizio il più vicino possibile a chi ha bisogno di aiuto negli ambienti più marginali e impervi. Con il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico prende parte alla Commissione Medica e assume ruoli formativi di Tecnico di Elisoccorso, Operatore di Soccorso in Forra e Istruttore Regionale di Soccorso, grazie ai quali riesce a comunicare e trasmettere la propria passione e professionalità a numerosi appartenenti al Corpo, in particolare ai giovani in formazione.